La fascite plantare è un processo degenerativo (spesso cronico) che coinvolge alcune strutture della pianta del piede e che provoca un dolore caratteristico sulla zona del tallone.
Si stima che negli Stati Uniti almeno un milione di soggetti l’anno soffre di tale patologia.
La diagnosi differenziale con altre patologie è importante, quindi l’attenta valutazione da parte del terapista è fondamentale.
La prognosi solitamente è buona se l’intervento terapeutico avviene entro le sei/otto settimane dall’insorgenza del dolore, altrimenti facilmente degenera e cronicizza.
Le strutture convolte in tale disturbo sono, come dicevamo, i tessuti molli plantari, particolarmente l’aponeurosi plantare, il legamento plantare lungo e il legamento calcaneo-navicolare.
Ripetuti microtraumi e tensioni su tali strutture creano una degenerazione che induce una risposta riparativa.
Le strutture fasciali riducono il loro spessore e fibrotizzano e si possono creare delle calcificazioni a causa della necrosi del collagene con metaplasia (cambiamento del tessuto), oppure per trazione della fascia sul periostio (spina calcaneare).
Il dolore è localizzato in zona calcaneare ma a volte può irradiarsi lungo il polpaccio o in zona metatarsale e l’insorgenza di solito è ad inizio movimento (appena ci si alza dal letto o dopo essere stati seduti a lungo) o dopo un lungo sovraccarico.
Le cause sono ascrivibili sicuramente al sovraccarico locale, ma non bisogna mai sottovalutare l’implicazione di strutture più lontane, per cui una valutazione di tutta la funzione muscolare dell’arto inferiore e la gestione di eventuali problematiche articolari è determinante.
La tensione che si crea sui tessuti fasciali plantari spesso la ritroviamo se seguiamo attentamente le catene miofasciali, così come uno squilibrio dei muscoli dell’arto inferiore, tra agonisti ed antagonisti va verificato.
È proprio in base a questi motivi che l’approccio conservativo da degli ottimi risultati anche a lungo termine (80% di risultati senza recidive).
Tra i trattamenti più appropriati per la risoluzione di problemi di questo tipo sicuramente bisogna citare il release miofasciale.
Il release miofasciale nasce come tecnica manuale e prevede l’applicazione di una forza a basso carico con allungamento del muscolo per un tempo lungo.
Negli anni si è cercato di sostituire alle mani del terapista (considerando che non necessita di una sensibilità tecnica particolare) sempre nuovi ausili che possano diminuire il sovraccarico dell’operatore ma con gli stessi risultati terapeutici.
Come emerge soprattutto da studi recenti, il MFR ha solide basi scientifiche che ne accertano l’efficacia e questo ne determina un ampio potenziale terapeutico.
L’utilizzo della METODICA APA VIBROPERCUSSORIA come forza meccanica risulta un ottimo mezzo di applicazione tecnica del MFR.
La forza applicata costante dà una migliore risposta muscolare, e l’utilizzo di testine differenti ci permette di essere specifici su tutte le zone da trattare.
Da non sottovalutare il minimo sforzo da parte del terapista.
METODICA APA VIBROPERCUSSORIA, LA NUOVA FRONTIERA DELLA SALUTE!
Bibliografia:
Foot (Edinb). 2014 Jun;24(2):66-71. doi: 10.1016/j.foot.2014.03.005. Epub 2014 Mar 21.
Effectiveness of myofascial release in the management of plantar heel pain: a randomized controlled trial.
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The Journal of the American Osteopathic Association
Diagnosis and Management of Plantar Fasciitis
John V. Thompson, DO; Sundeep S. Saini, OMS IV; Christopher W. Reb, DO;
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